Raffaele Cantoni. Un anticonformista nel vortice della Storia
Sergio
Minerbi,
da: Pagine Ebraiche, aprile 2010
Conobbi Raffaele Cantoni dopo la
liberazione di Milano nel 1945. Ero un ragazzo di 16 anni molto
attivo nel movimento
Hechaluz al quale dedicavo anima e corpo. Cantoni apparve
subito molto diverso dai dirigenti comunitari che avevo
conosciuto fino ad allora. Era un uomo d’azione, senza peli
sulla lingua, dinamico anzi impetuoso alle volte, pronto a
urlare se non veniva accettato subito quanto proponeva. Era il
momento in cui affluivano in Italia decine di migliaia di
profughi ebrei sopravissuti ai campi di sterminio con l’anelito
di arrivare al Mediterraneo per imbarcarsi su qualche navicella
dell’Aliya
bet ed arrivare nella
Palestina mandataria. Nel frattempo bisognava trovare per loro
un alloggio qualsiasi, talvolta in colonie estive costruite per
i giovani fascisti, con magre razioni alimentari fornite dall’American
Joint. Era anche il
momento in cui gli ebrei italiani, talvolta ancora increduli di
essere rimasti vivi, tornavano alle loro case che potevano
essere occupate dagli sfollati. Il mio primo viaggio da Roma a
Milano durò 22 ore poiché il treno doveva aspettare ore e ore su
un binario morto, mentre qualcuno cercava di capire quali ponti
fossero ancora agibili. Cantoni tornò dalla Svizzera dove si era
rifugiato alla fine del 1943 dopo essere saltato dal treno
diretto a Auschwitz. Era ancora sul treno che da Lugano lo
riportava in Italia quando scrisse al medico Marcello Cantoni
per affidargli l’incarico di curare i bambini per conto dell’Ose
(Oeuvre de secours aux
enfants). Qualche giorno dopo la liberazione di Milano fu
nominato Commissario straordinario per la Comunità di Milano.
Grazie ai suoi contatti politici col Partito socialista, e in
particolare con Riccardo Lombardi, ottenne il palazzo di via
Unione 5 a Milano. Cominciò allora l’epopea di via Unione centro
comunitario per gli ebrei Italiani e per i profughi, per le
varie organizzazioni d’assistenza e per l’Haganah,
tappa molto importante per gli ebrei allora in Italia e per i
soldati “palestinesi” arruolatisi come volontari nell’esercito
britannico.
Cantoni era un organizzatore nato e in via Eupili a
Milano ripristinava la scuola, affidando l’internato a Matilde
Cassin, che successivamente sposò Max Varadi e fece con lui l’aliyà.
Matilde si occupò anche della colonia di Selvino nei pressi di
Bergamo, dove erano ospitati centinai di bambini profughi.
Cantoni accompagnò nel settembre 1945 Kubowitzki del Congresso
mondiale ebraico in Vaticano, non partecipò però al colloquio
che questi ebbe con Pio XII per chiedergli la restituzione dei
bambini ebrei salvati nei conventi ma rimasti orfani e quindi
non reclamati dai genitori.
Pio XII chiese un memorandum e non solo non fece nulla per
accogliere la richiesta ebraica, ma anzi l’anno dopo, il 23
ottobre 1946, fece inviare delle istruzioni al Nunzio a Parigi,
Angelo Roncalli (successivamente Papa Giovanni XXII), affinché i
bambini battezzati non fossero restituiti a organizzazioni
ebraiche. Secondo i documenti pubblicati dal noto storico
Alberto Melloni, il Vaticano scriveva al Nunzio “Non deve dare
risposte scritte alle autorità ebraiche e precisare che la
Chiesa valuterà caso per caso; i bambini battezzati possono
essere dati solo a istituzioni che ne garantiscano l’educazione
cristiana; i bambini che ‘non hanno più genitori’ non vanno
restituiti e i genitori eventualmente sopravvissuti potranno
riaverli solo nel caso che non siano stati battezzati”. Raffaele
Cantoni si recò in Vaticano una seconda volta, pochi mesi dopo,
insieme a Gerhardt Riegner del Congresso mondiale ebraico.
Furono ricevuti dal cardinal Montini (successivamente Papa Paolo
VI) che chiese dove fossero i bambini. Riegner rispose: “Se
sapessi dove si trovano, non avrei bisogno di voi”. Il 26 marzo
1946 Cantoni venne eletto presidente dell’Unione delle Comunità
e utilizzò i suoi poteri per sostenere l’Alya
bet e ottenere finanziamenti per l’acquisto di armi per l’Haganah.
Quando il 4 aprile 1946 fu scoperto un convoglio di camion
militari britannici con a bordo 1014 profughi ebrei che si
imbarcavano per la Palestina sulla nave Fede, Cantoni accorse
immediatamente a La Spezia e vi portò Harold Laski che promise
di incontrare a Londra il premier Attlee. Nello stesso tempo
Cantoni ebbe un colloquio col presidente del Consiglio Alcide De
Gasperi e alla fine i mille poterono salpare su due navi, per la
Palestina. Alla Conferenza della pace a Parigi, nel 1946,
Cantoni appoggiò le posizioni del governo italiano antifascista
che non voleva discutere in quella sede gli indennizzi agli
ebrei, ma i governi successivi non si affrettarono a reintegrare
gli ebrei. Gli ebrei italiani non ebbero diritto alle
restituzioni tedesche e solo con grande difficoltà a quelle
parziali italiane che non coprono né il lucro cessante di coloro
che per otto anni non poterono lavorare, né la restituzione dei
beni sequestrati. Un vitalizio previsto dalla legge del 1980 fu
assegnato agli interessati solo passati alcuni decenni dopo un
lungo ostruzionismo delle autorità. Passarono più di
cinquant’anni dalla liberazione e nel 1998 fu nominata la
Commissione Anselmi che in tre anni di lavoro individuò 7 mila
116 decreti di confisca in Italia settentrionale: più della metà
concernevano dei depositi bancari. Ma la Commissione Anselmi non
aveva poteri esecutivi e l’auspicio di una pronta soluzione,
rimase lettera morta. Sorge quindi il dubbio che la fiducia
riposta da Cantoni a Parigi nei futuri governi italiani, fosse
esagerata. Appena creato lo Stato d’Israele, il 14 Maggio 1948.
Cantoni si precipitò in Israele e ricevette il visto d’entrata
numero uno. Molte attività come l’Aliya
bet e l’acquisto di armi per l’Haganah,
che erano state semiclandestine, divennero ufficiali e apparvero
alla luce del sole. C’era anche comunione di interessi fra
Italia e profughi nel volere che costoro partissero al più
presto per altri lidi. In tutte queste azioni Raffaele Cantoni
spiccò per la sua personalità, l’efficienza e il coraggio.
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