Rav Nello Pavoncello: un maestro di Torà nel cuore del Ghetto di Roma
Gianni Joav Dattilo
da: Rav Yehudà Nello
Pavoncello, Un uomo, un maestro, Roma, giugno, 2000
Lo vedo ancora in “Piazza” con un
libro in mano, il suo immancabile cappello, la sua voce forte e
decisa che si esprimeva nei linguaggi più diversi, dal giudaico
romanesco puro ed essenziale al linguaggio accademico. Gli stavo
vicino ed imparavo. Il Morè Nello era parte di “Piazza”, era
parte del cuore pulsante del ghetto di Roma che tanto amava. Il
giorno in cui lo conobbi feci un sogno: entravo da Boccione, la
pasticceria ebraica, e a suo nome mi venivano dati tantissimi
dolci, a volontà. La mattina dopo cominciai a studiare con lui,
su una piccola scrivania al Centro di Cultura, nella vecchia
sede, e mi diede un articolo di Dante Lattes che aveva
fotocopiato per me, il titolo dell'articolo era “Le dolcezze
della Torà”. Io rimasi colpito, lui forse pure, ma mi disse
subito che era “razionalista” e cominciammo a studiare. Compresi
che era il Maestro giusto per me, psicoterapeuta, appassionato
di mistica, di Kabbalà e di Chassidismo, proprio perché mi
servivano serie basi filologiche e scientifiche. Avevo sentito
parlare molto di lui della sua cultura e della sua erudizione ma
anche del suo carattere forte e deciso come la sua voce. Trovai
immediatamente in lui una inesauribile generosità ed una
inattesa profonda conoscenza anche di quegli argomenti di
mistica, che a me stanno a cuore e lui, invece, sembrava non
apprezzare particolarmente. E mi citava il suo Maestro Cassuto:
“bravi in tutto, ottimi in qualcosa”.
Come tutti sanno è stato un grande
esperto di Ebraismo Italiano, in ogni suo aspetto, dalla storia
al culto, dal canto ai
minhaghim (gli usi), dal folklore all'archeologia, dalla
letteratura alle tipografie. Chiunque si fosse trovato a fare
una ricerca su un tema ebraico prima o poi pensava e diceva:
“debbo chiedere al Moré Nello”. Tutto ciò che faceva era
leshem Shammaim (in
nome del cielo), gratuitamente, dalle lezioni alle ricerche,
dalle mezuzot ai
famosi “quadretti” per i negozi, dalle
Mishmarot
all'assistenza alla preparazione di tesi di laurea a carattere
ebraico per studenti di tutte le facoltà. Con grande entusiasmo
insegnava, raccontava, donava estratti di sue pubblicazioni,
tanto da non averne spesso neanche una copia per se e si
accontentava delle fotocopie. Amava i libri, le biblioteche ma
soprattutto le persone. Ed era un Rav per la gente, e ad ognuno
parlava nel modo giusto usando il linguaggio dell'interlocutore.
Torniamo in “Piazza” i colori del
tramonto nei lunghi pomeriggi d’estate, qualcosa da bere da zì
Clementina, o seduti al “Fast food”, immancabile sosta in
libreria, ad ognuno consigliava il libro adatto, gli dicevo che
era un ottimo “biblioterapeuta”. Qualcuno gli si avvicinava e
gli chiedeva in giudaico romanesco “Moré che è
'ngavonne?”
(trasgressione), e si trattava, in qualche modo, di domande di
Halachà a cui
rispondeva con grande senso psicologico. Una sua peculiarità era
togliere i sensi di colpa. Trasmettere l'amore per la
Torà, non avere mai
paura di niente e di nessuno e cogliere l'essenza di ogni cosa,
senza disperdersi. Amava ripetere di essere un po' come Rabbi
Meir che ha trovato una melagrana, ha mangiato l’interno e ha
buttato via la buccia “Rabbi Meir
rimmon matza tochò acha”
(Chaghigà 15b).
Pochi forse immaginano delle sue
letture psicologiche, della sua predilezione per Assaggioli,
psicologo ebreo italiano creatore della Psicosintesi, del suo
interesse per i simboli nell’ambito di diverse tradizioni. Sono
a conoscenza di studi e scritti inediti del Moré Nello, ad
esempio, sulle mani da un punto di vista antropologico religioso
e sulla gestualità rituale.
Sempre in “Piazza” d'inverno: é
Chanukkà e fa freddo,
c’è appena stata l'accensione dei lumi ed ho ancora nelle
orecchie il suo inconfondibile canto delle
Berachot
(benedizioni). A Pesach,
le pizzarelle al miele, le lezioni sull’Aggadà. Quando sentiva
eccessive preoccupazioni per le pulizie di Pesach, gli ho
sentito dire che il
chamez va tolto prima dentro di noi. E poi
Shavuot: di nuovo il
cappello estivo, in “Piazza” nuovi colori, suoni, nuove
generazioni di allievi che fanno domande.
Shabbat al Tempio dei
giovani, il suo Musaf,
domenica mattina lezione in Comunità, al grande tavolo del
Consiglio. I colori di autunno , in “Piazza” grande fervore:
Rosh ha Shana,
Kippur,
Succot e il Maestro é
sempre fra la gente.
Il Morè Nello aveva un
lev tov (un cuore
buono), se si trattava di fare una
mizwà, come amava lui
stesso dire, ma non sapeva fare compromessi di nessun tipo.
Poteva apparire polemico, delle volte se la prendeva anche
troppo, ma mai per se stesso, e sempre per questioni di
principio, di ideali, per ciò che lui riteneva il bene della
Comunità.
“L’Ebraismo non è una religione ma
un modo di vivere” era solito dire, ed interpretava le ben note
parole della Torà nasé
venishmà (faremo e ascolteremo), sottolineando che la
congiunzione ve (e),
qui indica in particolare una specie di contemporaneità tra
l'azione e la comprensione, è agendo che noi comprendiamo
veramente.
Il Rav Yehudà Nello Pavoncello z.l.
nonostante i suoi titoli preferiva farsi chiamare
Morè (Maestro).
Il suo insegnamento
scritto è l’altro volto della stessa personalità: la costante
attenzione alle fonti, la precisione delle citazioni e la
chiarezza del suo stile lo testimoniano. Non a caso il nostro
Morè è tra le persone
menzionate più volte da Rav Emanuele Artom
z.l. nelle note al
Machazor.
Gli scritti rimangono e meritano
rinnovato interesse, ma io ho sentito di ricordare soprattutto
alcuni suoi tratti umani che lasciano nella Roma ebraica un
vuoto incolmabile.
In due mesi sono scomparsi due importanti punti di
riferimento di questa Comunità: Aldo Sonnino e Nello
Pavoncello, Maestri molto diversi tra loro, ma legati da un
affetto profondo. Ho avuto la fortuna di essere allievo di
entrambi e per tutta la vita il loro dialogo continuerà
dentro di me.